Diritti e libertà fondamentali, accantonati a causa della pandemia, e una Costituzione provvisoriamente spedita “in quarantena” dopo l’insorgere del Coronavirus. Il dibattito, in Campania e nel Paese, resta aperto. Due fazioni opposte continuano a fronteggiarsi senza alcuna possibilità di dialogo. Da un lato c’è chi sottolinea come la marea di decreti legge, ordinanze regionali e cosiddetti Dpcm – ovvero semplici atti amministrativi adottati dal premier Conte – susseguitisi incessanti dallo scorso 8 marzo rappresentino un vero attentato ai diritti inviolabili della persona. Sono almeno 7 i diritti fondamentali adesso “minacciati” in Italia: la libertà di circolazione, di riunione, così come il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica. E ancora, almeno in parte, la libertà di manifestazione del pensiero, religiosa, la stessa libertà personale.
L’ultimo, in ordine meramente temporale, ad aver sposato la linea dura contro il premier Conte è stato l’ex presidente della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre: “Limitare le libertà con un Dpcm, è un atto, in tutto, incostituzionale. Specchio della arbitrarietà generale e del pensiero autoritario del presidente del Consiglio” è la spietata sintesi del ‘Baldassarre pensiero’. La fazione contraria, invece, quantomeno formalmente salva la “gestione commissariale dell’emergenza anche se attuata con decreto e non per legge” (vedi altro articolo in pagina, ndr). Tra le due visioni contrastanti ne spunta poi una terza. E’ più mediana, punta infatti a “scorgere il punto di equilibrio tra diritti compromessi nella temporaneità dei limiti adottati”.
E dopo, comunque, incalza: “E’ evidente che, almeno a una prima lettura dei decreti del premier, in maniera presuntiva potrebbero affermarsi le violazioni della libertà di movimento, del diritto al lavoro, della fondamentale libertà di iniziativa economica privata. Per non parlare della libertà di insegnamento e del diritto allo studio. Il problema è che però, a livello giudiziario, nessuno ha ancora mai affrontato il problema. L’unica strada per conoscere la verità resta una. Quella di impugnare i decreti del premier dinanzi al Tar affinchè un giudice, in conseguenza e autonomamente, possa sollevare la questione dinanzi alla Corte costituzionale”. Questa terza fazione, la più mediana, che spinge a una riflessione forse ancora più profonda, è scolpita nel commento di un magistrato. E’ Michele Del Gaudio, ex giudice “ragazzino” ora in pensione, e che proprio nelle pagine della Costituzione ha trovato “un ideale di vita da seguire.
Un misto di illuminanti principi da trasmettere a mio figlio e a tutti gli studenti di Torre Annunziata e d’Italia”. Secondo l’ex giudice “ragazzino”, entrato infatti in magistratura a soli 27 anni, da un punto di vista formale “il governo, per imporre limiti così ampi, avrebbe dovuto seguire la strada maestra del decreto-legge. In questo modo avremmo avuto infatti uno strumento di garanzia maggiore. I decreti del Presidente del Consiglio rappresentano invece un atto amministrativo. E dunque chi intende contestarli vada dinanzi al Tar.
Proponga, magari, una class-action”. Secondo il magistrato tuttavia “il 70 per cento della popolazione, basta scorrere rapidamente gli ultimi sondaggi nazionali, ha accettato le limitazioni imposte dai cosiddetti Dpcm. Dal punto di vista sociologico questa accettazione, determinata dalla legittima paura della gente per un diritto anche collettivo come quello alla salute, credo abbia giocato un ruolo determinante”.
“Certo che, se la temporaneità dei limiti imposti superasse per ipotesi la soglia dei 6 mesi, allora credo si porrebbe sul serio una possibile questione di legittimità costituzionale. Il problema è che nessuno, a livello giudiziario, ha ancora sollevato il caso”. Il magistrato concede un’ultima battuta sulle proteste della Chiesa e dei Vescovi italiani, scagliatisi contro la mancata riapertura, già dal 4 maggio, delle funzioni religiose. “Non capisco la reazione della Chiesa – conclude Del Gaudio – perchè proprio Gesù, nel Vangelo, è contro la ritualità”.