Tempo reale 31 giorni. Tempo percepito tanti di più. La bolla rossa in cui è finita l’Italia per l’emergenza coronavirus, nasce un mese fa. E’ la sera del 9 marzo e Giuseppe Conte annuncia agli italiani che “purtroppo tempo non ce n’è”. Troppi malati, troppi morti (le vittime erano 463, oltre 17 mila adesso). Perciò dal 10 marzo, un nuovo decreto e lockdown. Parola dal suono duro per dire che il Paese si chiude e si ferma, tranne i servizi essenziali. Il giorno dopo l’Organizzazione mondiale della sanità sentenzia: è pandemia.
L’Italia sceglie una doppia quarantena forzata fino al 3 aprile, poi estesa al 13. Improvvisamente ‘siamo tutti Codogno’ e come i 16 mila del comune lombardo si resta a casa per frenare i contagi. Loro ci stanno dal 23 febbraio. Dall’8 marzo tutta la Lombardia è blindata, compresi Alzano e Nembro che sono la Wuhan cinese in terra bergamasca e che alcuni avrebbero voluto chiudere prima. E’ una delle polemiche più calde, insieme a quella sulle mascherine introvabili (quasi 82 milioni quelle distribuite finora, secondo la Protezione civile). Annunciando il lockdown, Conte non parla di zona rossa ma di “zona protetta”. E così protetti per 31 giorni, attraverso 5 decreti del premier, 80 fra ordinanze della Protezione civile, del commissario per l’emergenza Arcuri e norme dei ministri, 4 moduli diversi di autocertificazione per uscire, l’Italia cambia. Fuori e dentro. Il pieno resta negli ospedali, nelle case, in carcere. Il vuoto largheggia per strada. Gli assembramenti sono vietati e il mantra diventa “almeno un metro di distanza”.
Ecco un mese di novità ai tempi del coronavirus:
SCUOLA – Chiusa in tutt’Italia dal 5 marzo. Lo stop vale dagli asili alle università ed è una rarità in un Paese in cui nemmeno la seconda guerra mondiale fermò le lezioni, mentre il colera al sud ritardò l’inizio dell’anno scolastico nel ’73. Adesso lezioni a distanza, esami universitari e lauree in streaming. Niente prova di terza media, la maturità sarà orale on line e gli altri studenti promossi di default.
SPESA – ‘Resiste’ in supermercati, discount, botteghe. Fuori in fila e mai vicini. Dentro, distanza d’obbligo e spesso guanti e mascherine. Sono cambiati gli orari: dopo il Dpcm del 22 marzo, le porte si chiudono alle 19 in settimana e la domenica alle 15. Tranne alcune eccezioni come i supermarket in Sicilia, aperti fino al sabato. Nei mercati rionali sopravvivono i banchi degli alimentari e si entra un po’ alla volta.
‘APERTI PER VIRUS’ – Restano aperte farmacie, edicole, tabacchi, benzinai. Lo specifica il Dpcm dell’11 marzo includendo ottici, ferramenta, negozi di elettronica, lavanderie e pompe funebri. Garantiti i servizi di banche, poste e assicurazioni e dal 21 marzo quelli dei bar che sono in aeroporti e ospedali. Di recente hanno riaperto i vivai, ma solo per consegne a casa di fiori e piante.
‘CHIUSI PER VIRUS’ – Dal 12 marzo serrande giù per estetisti, parrucchieri, barbieri ma anche negozi di abbigliamento, librerie. Diventa un ricordo il caffè al bar, la cena al ristorante o il gelato fuori. I locali sopravvivono con le consegne a domicilio, altri con le vendite on line. I capelli si adeguano, a modo loro. Un ciuffo si ribella pure al presidente Mattarella. Il suo portavoce glielo fa notare prima di registrare un videomessaggio e il capo dello Stato risponde: “Eh Giovanni, neanch’io vado dal barbiere!”. Il filmato va in onda per sbaglio e Mattarella osannato dagli italiani in quarantena.
FABBRICHE AL MINIMO – Dal 22 marzo il motore produttivo del Paese è in letargo. “Ma non lo fermiamo”, assicura Conte in un’altra videoconferenza. In realtà lo stop è generalizzato e le eccezioni racchiuse in 80 voci in allegato al decreto (dall’agricoltura all’industria alimentare, dalla chimica-farmaceutica ai rifiuti fino al carbone).
CINEMA E TEATRI, MUSEI E CONCERTI – A livello nazionale la chiusura si consuma in pochissimi giorni, passando dallo spiraglio degli spettacoli con posti a distanza o ingressi centellinati previsti dal Dpcm del 4 marzo, fino alla sospensione totale con il decreto dell’8.
SPORT – Prima, gare a porte chiuse o all’aperto senza pubblico e salvi gli allenamenti dei professionisti al chiuso. Serrate invece le palestre. Dal 10 marzo si ferma tutto lo sport e dal 4 aprile gli allenamenti. Così ad esempio niente basket né calcio: l’ultimo goal di serie A è il 3-0 di Sassuolo-Brescia del 9 marzo. Stop al tennis fino a sua maestà Wimbledon e pure al ciclismo. Dopo lunghi tira e molla, il 22 marzo si annullano le Olimpiadi in Giappone. Finora solo la guerra le ha fermate, il virus le rinvia all’estate 2021. Resta il dibattito sul movimento all’aperto e sulla corsa. Le risposte in un’ordinanza del ministro della Salute in vigore dal 21 marzo: sì all’attività motoria purché da soli e vicino casa. La stessa norma è definitiva sui parchi: chiusi tutti e ovunque, sanando così decisioni autonome di Comuni e Regioni.
ADDIO VIAGGI – Prima del lockdown, era possibile spostarsi se “strettamente necessario”. Non a caso la notte tra il 7 e l’8 marzo ci fu l’assalto ai treni verso la Lombardia che stava per chiudersi. Poi, gli appelli dei politici del sud contro i ritorni a casa di potenziali ‘untori’. Dal 23 marzo la stretta: ognuno resta dov’è, anche se è nato o vive altrove. Per spostarsi valgono solo esigenze di lavoro dimostrabili, di salute e assoluta urgenza. Vietato andare in due in moto. Super blindate Sicilia e Sardegna. Continua solo il trasporto merci. Eccezioni per i passeggeri “per improrogabili esigenze” e solo dagli aeroporti di Cagliari, Palermo e Catania (unici aperti).
CHIESE PER POCHI – Restano aperte ma le messe sono senza fedeli. Sposarsi si può solo con celebrante e testimoni, mentre sono sospesi i funerali. La pandemia impone solitudine: da soli in ospedale, solitaria la morte e pure l’addio.