«Mi perdoni, ma anche dedicarle un minuto in questi momenti è complicato. Stiamo facendo tutto quello che possiamo. Da giorni alcuni di noi non riescono nemmeno a tornare a casa per abbracciare i propri cari». Ha la voce stanca Fernando Siani, direttore sanitario dell’ospedale di Boscotrecase. La voce di chi sta provando a combattere, con ogni mezzo, contro la più drammatica emergenza sanitaria che abbia mai colpito il nostro paese.
Le sue parole arrivano dal telefono, mentre ancora si lavora per mettere a regime quel presidio sanitario convertito, in questi giorni, a trincea anti-Covid. Servono mezzi, mascherine, ventilatori, letti. Serve ricordare che in questa battaglia siamo coinvolti tutti. Anche per questo Metropolis ha deciso, nelle scorse ore, di lanciare una raccolta fondi per aiutare quei camici bianchi che rischiano la vita per proteggerci. Per aiutarli ad avere le armi giuste per mettere ko un nemico invisibile che continua a seminare morte e paura. Imprenditori, avvocati, magistrati, professionisti. Chiunque ha la possibilità di donare ha l’obbligo morale di farlo.
Sia per riuscire a vincere questa guerra, sia per non lasciare soli quegli eroi con il camice bianco che lavorano giorno e notte per difendere la salute di tutti. «Mobilitazioni come quelle organizzate in queste ore da Metropolis hanno un triplo valore – afferma Gaetano D’Onofrio, direttore sanitario dell’Asl Napoli3 Sud – si acquisiscono risorse nuove e si realizzano impianti e strutture che comunque serviranno nel tempo la collettività. E poi, me lo lasci dire, questo genere di iniziative ci fanno sentire meno soli in questa battaglia». Una sfida complicata, difficile, resa ancor più in salita dagli ultimi dati venuti fuori dal bollettino ufficiale della Protezione Civile. In Italia ci sono più morti che in Cina. Oggi siamo noi la capitale del coronavirus. Ed è un primato che fa paura. Un dato che deve accelerare anche le procedure di rafforzamento dei nostri ospedali di frontiera. «Di cosa abbiamo bisogno? Dei dispositivi di protezione individuali per medici e infermieri. Cioè mascherine e tute – sottolinea D’Onofrio – di monitor, ventilatori e tutte le tecnologie necessarie per monitorare le patologie di carattere respiratorio». A preoccupare, però, è soprattutto la tenuta del nostro sistema sanitario.
Un sistema messo in crisi, al Sud, dal ritorno di tanti cittadini partiti dalle regioni focolaio del Centro Nord nei giorni scorsi. Se fossero stati bloccati i mezzi trasporto interni, quel giorno, forse la situazione non sarebbe precipitata in questo modo assurdo. Ma il passato, per chi combatte per frenare questa strage, non conta. Conta il presente, l’oggi. Conta frenare quei dati aggressivi sul contagio, sui morti. «In questi giorni sta passando il messaggio che una volta raggiunto il picco inizierà la fase decrescente e la situazione andrà migliorando – sottolinea D’Onofrio – Ma le cose non stanno proprio così. Io credo che usciremo definitivamente da questa situazione soltanto con il tempo e magari con un vaccino efficace. Dopo il picco, però, le strutture sanitarie dovrebbero reggere con meno affanni l’emergenza.
I cittadini, però, devono applicare alla lettera le misure disposte dal Governo per bloccare il contagio». Una battaglia lunga, faticosa. Nella quale ognuno deve fare la sua parte a seconda delle proprie possibilità. Con sacrificio, con coraggio. E soprattutto senza abbandonare, in quella trincea di lacrime e paure, i medici. Quegli eroi silenziosi che in queste ore, in questi istanti, stanno combattendo senza soste, senza riposo, per difendere tutti noi.