Le stupidaggini che viaggiano in rete alimentano sciacallaggio e psicosi. Soprattutto in tempi di emergenza. E’ il contagio della follia che fa danni quasi quanto un virus. Perché annienta le menti, sparge panico, si infila nel ventre molle delle paure. Lo fa storpiando la realtà che, di rimbalzo, diventa qualcosa di mediocre, da ripudiare, come uno specchio graffiato che riflette un’immagine sballata, falsa, mai autentica. Ma che viene percepita come vera. E dannatamente.
Basta poco per condizionare la plebe che, con uno smartphone, usa i joystick dell’informazione rendendola talvolta meno credibile. Tipo la bufera di domenica sera quando una donna, già contagiata dal Covid 19, è stata trasferita da Castellammare di Stabia all’ospedale Cotugno di Napoli per il ricovero. Da un balcone scatta la corsa alla ripresa della scena col cellulare (in pagina foto di archivio). Tra i curiosi c’è anche un genitore che, col figlioletto, segue l’operazione del 118. Il piccolo, attento, guarda i medici con tute bianche anti contagio. Il papà, con tono dimesso, spiega al suo bimbo ciò che accade: «Stanno portando via la signora che sta male». Tutto viene dato in pasto alla savana di Facebook e in pochi istanti vanno a farsi benedire privacy, codici di comportamento e la capacità di saper campare. Risultato? La notizia circola in rete e il vangelo di Fb sentenzia: «E’ un nuovo caso di coronavirus, non vogliono dire la verità». Chi? E perché mai? Pian piano, condivisione dopo condivisione, la storia prende piede e si arriva al punto che decine, anzi, centinaia di persone sono temporaneamente convinte che a Castellammare di Stabia ci sia un focolaio. Una balla. Un po’ come quella che agita Massa Lubrense e Vico Equense da tre giorni, con un audio virale (nomen omen) attribuito a un presunto professionista che informa la platea social di persone contagiate, tra cui alcuni colleghi di lavoro. Apriti cielo e sindaci che – giustamente – ieri hanno presentato denuncia alla polizia postale. Lo stesso farà il Comune di Agerola, vittima di un fotomontaggio di una pagina di Televideo che annunciava la presenza di un malato in paese.
La piaga social va debellata. Magari chiudendo temporaneamente, per ordine pubblico, questi canali che inquinano vite e speranze. Sì, è difficile, sicuro. Ma per questioni primarie, iniziando dall’emergenza sanitaria, bisognerebbe limitare i social facendo in modo di tenere “aperti” solo i canali istituzionali. Si dovrebbe permettere solo la consultazione di profili verificati (quelli «con la spunta blu», tanto per capirci) per la diffusione di notizie e bollettini. Certo, esiste la libertà di espressione e non bisogna dimenticare giornali, le testate registrate e blog. Ma si trovi una sintesi: qui ne va anche della “sanità mentale” del Paese.
Ormai si è arrivati al punto che in tempo reale le notizie vengono create o raccontate dallo stesso protagonista del fatto, quasi sempre ignaro della potenza del messaggio che può far circolare in rete. Il risultato è un racconto spesso costruito in malo modo che viene meno agli obblighi di civiltà urtando sensibilità, suscitando scalpore, accendendo lo sdegno.
Prendiamo ciò che è successo a Napoli: una donna muore con il coronavirus (aveva altre patologie) e il fratello fa partire la macabra live Facebook. Nel video inquadra la sorella già deceduta a letto e denuncia che nessun medico l’ha visitata. Tanto che la salma resta bloccata in casa per due giorni. Roba splatter. Come la medievale caccia all’uomo partita di bacheca in bacheca per scoprire chi è tornato dal Nord: roba da animali che lottano per sopravvivere nella giungla. O come l’inferno subìto da un ragazzo di Santa Maria la Carità che, dopo la morte del nonno, invece che piangere il parente, ha dovuto annunciare che l’anziano era spirato perché malato di cancro e non di coronavirus, come dicevano in chat.
Salvateci dal virus. Dal Covid, ma anche da quello social.