Diciotto miliardi, più dell’1% del Pil, quasi quanti ne sono serviti per sterilizzare l’aumento dell’Iva: tanti sono i soldi che negli ultimi 5 anni la Guardia di Finanza ha sottratto alle organizzazioni criminali, che non sono più “coppola e lupara” ma vere e proprie multinazionali dell’illegalità, con enormi capitali accumulati illecitamente e pronte ad inondare un’economia prostrata da anni di crisi. Alla cifra si arriva sommando 11 miliardi di beni mobili e immobili sequestrati dal 2015 con i 7 di beni confiscati. Soldi, questi, che sono rientrati definitivamente nelle casse dello Stato.
Alla base di confische e sequestri ci sono oltre 10mila accertamenti – una media di più di cinque al giorno – e circa un milione di attività ispettive all’anno, che hanno preso di mira 55mila soggetti. “Sono il frutto di attività investigative e analisi con strumenti tecnologici sempre più precisi, che ci consentono di intervenire in maniera chirurgica e di restringere il campo delle ricerche” spiega il capo dello Scico della Gdf, il generale Alessandro Barbera. A finire nella rete sono i cosiddetti ‘soggetti pericolosi qualificati’, vale a dire persone indiziate di gravi reati, quelli ‘socialmente pericolosi’ e chi investe nei ‘beni rifugio’: diamanti, metalli preziosi, quadri e reperti archeologici. Uno di questi strumenti è ‘Molecola’, un applicativo informatico che analizza e mette a confronto una serie di banche dati con parametri specifici per arrivare ad isolare le informazioni fondamentali. “Ma è chiaro – aggiunge Barbera – che poi quello che fa la differenza è il fattore umano, la capacità di leggere e interpretare in modo qualificato quelle informazioni”.
Ma come si muovono nel mondo degli affari le mafie che non sono più coppola e lupara? Innanzitutto, colonizzando le regioni più ricche. Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia rappresentano territori “di grandissimo interesse” per le cosche. Basta un dato: dal 2017 al 2019 le proposte di sequestro avanzate dalla Gdf per il solo Piemonte, sono quadruplicate.
“La ‘Ndrangheta – spiega ancora il comandante dello Scico – non ha confini e limiti. E dunque dire che ci sono territori scevri da condizionamenti non è possibile. Certo, ci sono aree maggiormente interessate e aree dove i condizionamenti sono marginali, ma viste le potenzialità e le disponibilità delle cosche, nessuno è immune”. Una potenzialità che è nei numeri: negli ultimi due anni le proposte di sequestro di beni della ‘ndrangheta hanno raggiunto quasi due miliardi(1,4 miliardi nel 2018 e 500 milioni nel 2019). L’altro dato interessante che emerge dalle analisi dei finanzieri è come si infiltrano le cosche nell’economia legale. Il 55% dei sequestri dal 2013 al 2018 ha infatti riguardato Società a responsabilità limitata, strutture aziendali nelle quali è più facile confondere il capitale di provenienza illecita e l’identità degli stessi soci, molto spesso nascosti dietro teste di legno o di società costituite solo per fare da schermo. Anche i settori economici in cui le mafie tentano di infiltrarsi sono un altro indicatore di come le cose cambino: tra il 2015 e il 2018 il 29% delle società di capitale sequestrate aveva investito nelle forniture di servizi a enti pubblici e privati e nell’indotto del turismo (bar, ristoranti, alberghi, villaggi turistici), mentre il 22% nei servizi finanziari (il 22%) e solo il 17% nell’edilizia, storico settore preso di mira dalle organizzazioni. Stando ai dati, redditizi per le cosche sono anche gli investimenti nell’immobiliare: se dal 2013 al 2015 sono stati sequestrati 2.924 fabbricati, nel triennio successivo si è passati a 3.488. “Ci sono enormi ricchezze accumulate illegalmente che vengono riversate nell’economia legale – conclude Barbera – ma per farlo le cosche hanno bisogno di imprenditori, professionisti, funzionari collusi. Sono loro che forniscono gli ‘strumenti’ per poter riciclare il denaro”.