E’ l’alba del 5 dicembre del 2018. Alla porta di Antonio Di Martino bussano gli uomini della Polizia di Stato. Tra le mani hanno un mandato di cattura. Un’ordinanza di custodia cautelare che lo ...
E’ l’alba del 5 dicembre del 2018. Alla porta di Antonio Di Martino bussano gli uomini della Polizia di Stato. Tra le mani hanno un mandato di cattura. Un’ordinanza di custodia cautelare che lo vede indagato per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per lui il gip ha disposto il trasferimento in carcere a causa dei «gravi indizi di colpevolezza» e del «pericolo di reiterazione del reato». Ma del figlio di Leonardo ‘o lione, il super boss di Gragnano, il capo dei capi della camorra del Lattari, non c’è traccia. Comincia così, poco più di un anno fa, la lunga fuga del ras dello spaccio di Iuvani. Le indagini Da 357 giorni esatti Antonio Di Martino, rampollo della dinastia criminale specializzata nella produzione di marijuana, è latitante. L’ultimo fuggitivo di una camorra decapitata da inchieste, processi e condanne. E’ sparito nel nulla. Inghiottito dai silenzi che alimentano il potere di quel clan. Lo stanno cercando, da mesi, senza soste. Lo cercano ovunque. Le piste da seguire sono tante, forse anche troppe. Perché i Di Martino hanno legami e affari in mezz’Italia e non solo. Dalla Calabria, dove trattano la vendita di droga con esponenti della ‘ndrangheta, passando per la Turchia, altro porto franco della camorra dei narcos. Il boss potrebbe essere all’estero. Ma anche trovarsi nel cuore delle campagne del basso Lazio, altra terra di conquista del clan che qui ha esportato il “modello” di coltivazione della droga sperimentato sui Monti Lattari. O forse potrebbe essere a due passi da casa. Nel suo fortino di Iuvani. Il luogo dove si sente più sicuro e protetto, potendo far leva, evidentemente, su una fitta rete di fiancheggiatori. Il boss Piste, ipotesi, supposizioni che sinora però non hanno trovato conferma. Da un anno il boss è diventato invisibile, inafferrabile. E per l’Antimafia è lui, oggi, a tenere in mano lo scettro del comando rimasto senza padrone per l’arresto di suo padre (che sta scontando una condanna definitiva a 20 anni di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti). In questi mesi il nome di Antonio Di Martino è però uscito dalle pagine di cronaca locale per balzare in cima alla lista dei latitanti più pericolosi in circolazione in Italia. Un “riconoscimento” che tra le righe racconta il potere acquisito dalla cosca di Gragnano. Un clan potente e ricco in grado di poter fronteggiare anche ad una fuga lunga e dispendiosa. I controlli delle forze dell’ordine, però, non si sono mai fermati da quell’alba amara di un anno fa. Gli uomini in divisa battono da mesi palmo a palmo ogni angolo della provincia in cerca di indizi, piste, prove. Tasselli che potrebbero consentire agli investigatori di ricostruire il percorso di quel boss il cui nome è legato a una marea di inchieste su spaccio, estorsioni e camorra. Il processo “Olimpo”, infatti, è solo l’ultimo procedimento aperto a carico del figlio del padrino di Gragnano. I processi Il figlio del boss è imputato in sette diversi procedimenti. I pm dell’Antimafia di Napoli e Reggio Calabria gli contestano di essere un elemento di spicco di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Accuse che rischiano di costare condanne pesanti: fino a 20 anni di reclusione. Dalle indagini che hanno colpito il latitante emerge, tra l’altro, la conduzione familiare dell’organizzazione. Un clan nel quale il vincolo familiare viene prima di ogni cosa, come ribadito dagli arresti e dai processi che vedono coinvolti genitori, figli, cognati, nipoti. Una “grande famiglia” criminale che ha fatto della produzione di marijuana il suo marchio di fabbrica. Arrivando a rifornire, con le piante di cannabis, le piazze di spaccio di mezza Italia. Un business enorme, gigantesco. Un affare milionario nel quale sarebbe invischiato anche Antonio Di Martino. Il boss in fuga che da 357 giorni è diventato invisibile.