Dopo quelle per il mare (ben 3 in meno di un mese), ecco la direttiva per le città. E se le prime hanno come obiettivo i migranti che tentano la traversata, nel mirino dell’ultima ci sono i “balordi”, che vanno allontanati creando ‘zone rosse’. La firma è del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che continua a ricorrere ad uno strumento – quello della direttiva appunto – che non richiede l’ok del Consiglio dei ministri e, dunque, mediazioni con gli alleati di governo. “Dove non arrivano i sindaci arriviamo noi”, annuncia il titolare del Viminale, sollecitando i prefetti ad emanare ordinanze anti-degrado. Ma l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, non ci sta: “chi governa lo scelgono i cittadini. E’ l’abc della democrazia”. Ed insorge anche il presidente dell’Anci, Antonio Decaro: “noi sindaci amministriamo ogni giorno e non abbiamo bisogno di essere commissariati da nessuno”. Nelle grandi città, nota la direttiva, “si registrano, di frequente, fenomeni antisociali e di inciviltà lesivi del ‘buon vivere’, particolarmente in determinati luoghi caratterizzati dal persistente afflusso di un notevole numero di persone, sovente in condizioni di disagio sociale”. Ai sindaci sono stati forniti nuovi strumenti per contrastare il degrado, come il daspo urbano (l’ordine di allontanamento da alcune zone della città), la limitazione alla vendita di alcolici, il reato di accattonaggio, la nuova disciplina sui parcheggiatori abusivi. Ma l’esperienza nei territori, sostiene Salvini, “ha evidenziato l’esigenza di intervenire con mezzi ulteriori”, ad esempio contro le cosiddette “piazze di spaccio”, il cui “effettivo smantellamento presuppone l’inibizione alle aree maggiormente interessate dalla perpetrazione di tali illeciti”. Dunque, dove i sindaci, che magari sono “distratti” – è la frecciata del titolare del Viminale – non intervengono, tocca ai prefetti, “custodi della sicurezza”, ricorrere ai poteri d’ordinanza, “funzionali a potenziare l’azione di contrasto al radicamento di fenomenologie di illegalità e di degrado che attentano alla piena e civile fruibilità di specifici contesti cittadini”. Questi strumenti, puntualizza, sono “di natura straordinaria, contingibile ed urgente”. Le ordinanze modello per il ministro sono quelle del 2017 dell’allora prefetto di Bologna Matteo Piantedosi (ora è il suo capo di Gabinetto) e di quest’anno del prefetto di Firenze, Laura Lega. Misure che vietano “lo stazionamento a persone dedite ad attività illegali, disponendone l’allontanamento” in alcune aree. I prefetti vengono dunque invitati a convocare specifiche riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica per esaminare “eventuali esigenze di tutela rafforzata di taluni luoghi del contesto urbano”. Creando così le ‘zone rosse’. E per l’ennesima volta si apre uno scontro tra vicepremier. “Ho letto – commenta Di Maio – che la direttiva attribuisce più poteri ai prefetti che ai sindaci in alcuni casi. Io sono dell’opinione che chi governa lo scelgono i cittadini. E’ l’abc della democrazia. Esprimi un voto e poi giudichi al termine del mandato. Io la vedo così”. Attacca anche Decaro (Anci). “Se Salvini ci avesse chiamati – osserva – per affrontare seriamente il problema del degrado urbano nelle città, gli avremmo detto che varare zone rosse è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto, non risolve il problema, lo sposta altrove. E no – aggiunge – non siamo distratti. Quello distratto sembra piuttosto il ministro, visto che sembra aver dimenticato che i prefetti hanno competenza esclusiva su ordine pubblico e sicurezza, e per occuparsi di questi temi non hanno bisogno di nessuna circolare ministeriale né di commissariare nessuno”.
politica
17 aprile 2019
Degrado delle città, potere ai prefetti. E’ scontro Salvini-Di Maio