«Mi ha picchiata fin da subito, ci sposammo presto. Io ero giovanissima e già in cinta. Neppure nostro figlio che portavo in grembo riusciva a calmarlo, a frenare la sua rabbia. Ho subito violenze, stando zitta, per 30 anni». Emanuela ieri non ha pianto, le sue lacrime le ha consumate tutte. Perchè da quando ne aveva 17 lei è entrata in un tunnel: l’uomo che amava, prima di salire sull’altare, le sembrava affascinante e tenero. Poi, dopo il matrimonio, giù botte e insulti. «Ti attacco una corda al collo. Ti taglio la gola. Questo mi urlava, tornato a casa dal lavoro. Lo faceva anche mentre aspettavamo che nascesse Ciro». Quell’unico bambino, figlio di un’unione triste e malata, che oggi è cresciuto. Ciro adesso è infatti adulto e coraggioso. Proprio come mamma Emanuela, che alla soglia dei 50 ha trovato in sè la forza per uscire dall’assordante muro del silenzio imposto «puramente dall’obbligo di difendere mio figlio», denunciando anni di soprusi e vessazioni ai carabinieri della stazione di Somma Vesuviana. Il giorno in cui Emanuela ha scelto di combattere ha una data precisa. «Era il 14 dicembre 2017, dissi basta. Uscii da quella casa e corsi da mia madre. Poi alzai il telefono, chiamando i carabinieri».
Giovanna Salvati
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