Oggi è un pentito di camorra. Condannato per l’omicidio del consigliere comunale del Pd, Gino Tommasino, è stato però per anni il capo del gruppo di fuoco del clan D’Alessandro. Il braccio destro di Enzuccio D’Alessandro, figlio del capo clan Michele. Da alcune intercettazioni emerge il profilo criminale di un giovane allevato a “pane e camorra”. In auto, al ritorno da Rimini, si trova in compagnia di Enzo G. A Belviso non piace l’atteggiamento di questo giovane affiliato che, secondo lui, fa un uso eccessivo di sostanze stupefacenti. Belviso è un capo, ha guidato il gruppo armato di Scanzano. Quello che con Renato Cavaliere e Catello Romano è accusato di aver pianificato ed eseguito le vendette del clan D’Alessandro. In poche frasi, Belviso traccia quasi una manuale sociologico di comportamenti criminali. Quando chiede al suo interlocutore perché non avesse voluto picchiare un rivale, quest’ultimo paventa il rischio dell’intervento di un terzo, la risposta di Belviso è brutale: “Quello è uno che ha in mano giù all’Annunziatella. Quello è un boss. Non ti rendi conto, quello comanda, domani mattina dice di ucciderti e vengono ad ucciderti”. E’ una profonda conoscenza dei meccanismi criminali quella che Belviso prova a trasferire. In auto, in viaggio, parla come se fosse in cattedra. Belviso prova a spiegare la sua filosofia di “non vita”: “Quello porta il contatto di malavita, che se non ha la cosa addosso fugge, perché un domani ti viene a sparare, sai quanti di loro lo hanno fatto?” spiega al giovane affiliato. E poi cita un esempio: “Luigino D’Alessandro non è mai sceso senza la pistola addosso. Ma non per paura. Luigino, Enzuccio, hanno paura di qualcuno?” E chiude con una massima che chiarisce il senso di certe regole criminali: “Uno scemo ti può uccidere, no uno buono” chiosa chiudendo l’agghiacciante commento.
CASTELLAMMARE, CRONACA
6 gennaio 2019
Castellammare. Le regole dell’uomo d’onore. Così Belviso “educava” figliocci