LA TRINCEA DELLA LIBERTA’ – Oltre a essere un abituale lettore di riviste e quotidiani, in qualità di sindaco, mi ritrovo spesso ad essere anche l’oggetto della notizia. Leggere un articolo, talvolta, mi aiuta a vedere la realtà da una posizione diversa, facendo luce su aspetti che dalla mia prospettiva difficilmente sarei riuscito a vedere. Ma non nascondo che ogni tanto, leggendo le ricostruzioni di fatti che mi riguardano, mi arrabbio. Eccome, se mi arrabbio. Ma mai augurerei la chiusura a un giornale che fraintende una dichiarazione o mette in discussione una mia decisione. Anzi, in tempi in cui la comunicazione è sempre più caotica, i giornali rappresentano una delle poche – se non l’unica – fonte di informazione verificata. In territori come il nostro, poi, nei quali la cultura per molti è ancora un lusso, la carta stampata diviene molto spesso l’unica lettura diversa dalla didascalia di una foto su Instagram o di uno scalcagnato commento sui social. Certo, anche i giornali sbagliano: non è sempre facile, del resto, sintetizzare in poche righe vicende molto complesse o provvedimenti che hanno richiesto settimane di studio. La stampa locale è quella più di tutte vicina alle esigenze del territorio in cui opera ma, allo stesso tempo, è anche la più debole: spesso si basa esclusivamente sulla passione di professionisti che, a discapito degli affetti più cari, dedicano al giornale intere giornate e nottate. Il legislatore prevede la concessione di contributi pubblici in favore di quella editoria che garantisce informazione, forma nuovi giornalisti e crea posti di lavoro. Niente a che vedere con il periodo delle vacche grasse di quando un giornale poteva ricevere finanziamenti anche di decine di milioni all’anno, ma – appunto – un contributo per sostenere quelle redazioni che fanno i salti mortali per mandare ogni giorno in edicola un prodotto realizzato da professionisti. In una sorta di crociata ideologica contro quella che viene probabilmente ritenuta una corporazione ostile, l’attuale governo appare orientato a procedere verso l’abolizione dei contributi in favore dell’editoria. Io non sono d’accordo: ritengo che i giornali rappresentino un interlocutore imprescindibile per il dibattito pubblico. In un’epoca di falsi profili e ferocia da tastiera, preferirò sempre confrontarmi con un organo che ha un nome riconosciuto ed un professionista responsabile che ci mette la faccia, piuttosto che con un tuttologo nascosto dietro a un monitor. Eliminando il contributo all’editoria, infatti, lo Stato risparmierebbe qualche milione: ma a quale costo? Per consentire di fare informazione solo a chi ha alle spalle facoltosi gruppi imprenditoriali e/o portatori d’interesse? O, decisamente peggio, per lasciare il ruolo di guida dell’informazione alla “Rete” (con i suoi pregi, ma anche i suoi tanti difetti)? In uno Stato democratico, la libertà dell’informazione è sacra, così come è sacro il pluralismo delle opinioni che va sempre garantito e rispettato. La Storia ci ha insegnato che, qualunque fosse il metodo utilizzato, il bavaglio ai giornali si è sempre rivoltato contro chi lo ha promosso e che chi ha abolito alla fine è stato abolito.
CRONACA, metropolis
25 ottobre 2018
Ciro Buonajuto: il bavaglio ai giornali si è sempre rivoltato contro chi lo ha promosso