Gnocchetti con cagliata, polpette di Apicio, cassata di Oplonti, il menù dell’antica Pompei protagonista del Festival del Sole, l’evento più importante del capodanno cinese che comincia il prossimo 16 febbraio e prevede due settimane di festeggiamenti. Quest’anno è stata scelta la città di Chengdu come sede principale dell’evento e il governo cinese ha affidato a una società di Roma il compito di trasformare il sito archeologico di Jinsha in una piccola Pompei. Lì sono previsti allestimenti scenografici, rappresentazioni teatrali e anche un’area dedicata allo street food, che dovrà riproporre la cucina di epoca romana. Un compito difficilissimo (sono previsti circa 40mila visitatori al giorno, per due settimane) affidato, manco a dirlo, a Rino De Feo, lo chef straniero più famoso in Cina.
L’evento
Il cuoco di Castellammare si ritroverà ai fornelli per preparare piatti che risalgono al 79 dopo Cristo. Dai gnocchetti con cagliata alle polpette di Apicio «ripiene di pinoli, uvetta e cotte nel mosto di vino – spiega Rino De Feo – Non è la prima volta che cucino questi piatti, ma non saranno gli unici. Il debutto sarà dedicato all’antica Pompei, ma nei giorni a seguire proporrò lo street food napoletano e ovviamente non potrà mancare la pizza». La Cina in questo periodo dell’anno si ferma, tutti hanno diritto ad almeno una settimana di ferie e a Chengdu sono attese circa un milione di persone. «Sarà una bella sfida, ma d’altronde io sono un “matto”», sorride Rino De Feo, ricordando proprio il nome del locale che gli ha permesso di fare fortuna in Cina.
La storia
«A breve diventerà una catena di ristoranti, che vogliamo aprire in diverse località cinesi – spiega lo chef di Castellammare – “Il Matto” fu una scommessa. Ero con un amico e sapemmo di un piccolo bar che era stato messo in vendita a Guangzhou. Decidemmo di rilevarlo, l’idea era quella di farne una tavola calda. Ma cominciarono ad arrivare clienti da ogni zona della Cina, a volte facevano anche ore di viaggio per venire a mangiare da noi, così diventò un ristorante». Da lì è cominciata la scalata di Rino De Feo, che ha aperto e avviato diversi ristoranti, restando poi come consulente. Uno chef che ha avuto al suo tavolo personaggi famosi come Marcello Lippi, ct della Nazionale campione del mondo del 2006, il capitano di quell’Italia Fabio Cannavaro e l’allenatore della Lazio scudetto Sven Goran Eriksson. Nel 2016 è stato anche scelto dall’Adidas come docente per una lezione di creatività ai suoi stilisti e dal governo cinese che gli chiese di insegnare ai giovani i segreti della cucina italiana. «No, napoletana – corregge Rino De Feo – Ho portato le tradizioni della mia terra in Cina ed ho imposto ai miei collaboratori di parlare in dialetto. Oggi ho ragazzi cinesi che all’improvviso mi avvicinano e dicono “Rino, mi faccio due spaghetti” in napoletano. Uno spettacolo». Divertimento che nasconde una necessità: «Qui le regole sono molto rigide: puoi aprire un’attività solo se garantisci di assumere personale cinese – spiega lo chef – Ho una deroga per due persone, il mio socio in cucina e il direttore di sala che sono italiani, e non me ne danno altre». Così ha dovuto ha insegnare ai suoi collaboratori a parlare in dialetto per sentirsi meno solo e ai clienti cinesi a mangiare la cucina napoletana: «Questa è stata la scommessa più difficile da vincere – dice De Feo – All’inizio sono molto diffidenti, hanno le loro abitudini, ma io ho insistito puntando sulla qualità dei prodotti e alla fine ho avuto ragione. Gli ingredienti che utilizzano arrivano quasi tutti dalla Campania, soprattutto pasta, olio e pomodori. La mozzarella, invece, sono costretta a farmela qui e quando mi vedono lavorarla impazziscono».
Un successo che non gli ha fatto dimenticare la sua terra: «Il desiderio di tornare a casa c’è sempre, anche se ogni volta che vengo dalla Cina la trovo peggiorata ed è un colpo al cuore – dice Rino De Feo – Chi vive lontano riesce a rendersi conto delle potenzialità che ha il nostro territorio rispetto ad altre zone del mondo, ma anche del troppo degrado che affossa ogni speranza di sviluppo».