La Gioconda sparì nella notte. Una notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto del 1911. Fino al lunedì successivo nessuno s’accorse di nulla. Diede l’allarme un copista che aveva avuto il permesso per riprodurre l’opera a porte chiuse. Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, e per il Louvre era una mazzata mnondiale. Il primo dei sospettati fu il poeta francese Guillaume Apollinaire e persino Pablo Picasso venne interrogato ma anche lui, come Apollinaire, fu rilasciato. In realtà, un ex-impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, cittadina nei pressi di Luino, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia e non dovesse quindi restare in Francia, lo aveva rubato. Si era rinchiuso in uno sgabuzzino dal quale era uscito solo a notte fonda ed era filato via in taxi con la Gioconda sotto il cappotto. Mise l’opera sotto il letto di una pensione di Parigi e la custodì per 28 mesi prima di portarla a Luino, con l’intenzione di “regalarla all’Italia”. Ingenuamente, nel 1913 si recò a Firenze per rivendere l’opera per pochi spiccioli. Inviò una lettera all’antiquario fiorentino Alfredo Geri firmata “Leonardo”. «Il quadro è nelle mie mani, appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano». Chiedeva solo un riscatto di 500.000 lire. L’undici dicembre del 1913, l’antiquario fissò un appuntamento nella sua stanza numero 20 al terzo piano dell’Hotel Tripoli, in via de’ Cerretani, con lui il direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. Si fecero consegnare l’opera per verificarne l’autenticità. Nell’attesa Peruggia se ne andò a spasso per la città, ma fu rintracciato e arrestato. Al processato venne definito “mentalmente minorato” e condannato ad una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò tutta sul patriottismo.
CULTURA
12 dicembre 2017
Il ritrovamento della Gioconda rubata