Torre del Greco/Ercolano. Il sole batte forte sul tavolino del bar, mentre Giovanni accende un’altra sigaretta. Il fumo aiuta ad alleggerire i pensieri, ma non a cancellarli. E dopotutto sarebbe impossibile spazzare via per sempre dalla mente le immagini di quel terribile 11 marzo 2003. Il giorno in cui quel ragazzo che oggi ha 40 anni e due figli, vide due killer armati di mitra sparare e uccidere senza pietà suo padre. “Lo colpirono alle spalle – racconta a fatica Giovanni – gli spararono con il mitra e lo lasciarono a terra in una pozza di sangue”.
Suo padre non era un uomo qualunque, si chiamava Ciro Montella ed era un pezzo da 90 del clan Ascione-Papale. Quel giorno assieme a lui morì anche Mario Ascione, il boss del clan che per anni ha dettato legge a Ercolano e Torre del Greco. Erano entrambi sulla lista nera dei Birra-Iacomino, la cosca che in quegli anni di guerra e morti ammazzati combatteva con gli Ascione una delle più sanguinarie guerre che la storia della camorra ricordi. Giovanni stavolta non si nasconde dietro al fumo della sigaretta. Sa che suo padre era un camorrista, uno di quelli che giravano con la pistola nei pantaloni per paura di essere ammazzati. Sa che quel massacro è figlio delle scelte di suo padre e quando ci pensa gli occhi diventano lucidi. “Vorrei tornare indietro per impedirgli di fare quello che ha fatto – ripete alzando lo sguardo al cielo – Se fosse vivo lo obbligherei a collaborare con la giustizia. La camorra è una merda, è la cosa peggiore che possa capitare nella vita di una persona. I camorristi non pensano alla gente, pensano ai soldi e ad ammazzare. Mio padre è stato usato da questa gente e poi ha fatto delle scelte sbagliate”.
Quando i sicari entrarono in azione davanti all’agenzia di scommesse di via Fiorillo – ai confini tra Ercolano e Torre del Greco – Giovanni c’è. E i suoi occhi, per un istante, s’incrociano con quelli degli assassini di suo padre. “Andai davanti all’agenzia – i ricordi di Giovanni Montella – Mio padre mi disse di andare via, perché credeva che stessero arrivando i carabinieri. Non ha mai voluto che mi immischiassi con la camorra. Ma non erano i carabinieri, erano due uomini armati. Il resto della storia la conoscete già voi giornalisti. Con quel gesto inconsapevole mio padre mi ha salvato la vita”. I giorni che seguono quel terribile massacro sono una pagina nera nella vita di quel giovane uomo. Giovanni non ha la forza di vendicarsi da solo, come fanno i camorristi. Perché non è un camorrista. E così, tormentato e ossessionato dalla sete di giustizia, decide di fare quello che non aveva mai fatto nessuno nella sua famiglia: raccontare tutto alle forze dell’ordine. “Ho passato una settimana senza dormire – racconta ancora Giovanni accendendo l’ennesima sigaretta – Ho parlato con mia moglie e poi alla fine ho deciso. Sono entrato nella caserma dei carabinieri di Torre del Greco e ho raccontato tutto quello che avevo visto. Dai basisti agli assassini, passando per le immagini di mio padre a terra in una pozza di sangue. E’ stata una liberazione per me e ho avuto la fortuna di incontrare delle persone straordinarie”.
I carabinieri aiutano Giovanni a ricordare e sulla strada di quel giovane padre spunta un altro uomo. E’Pierpaolo Filippelli, l’ex magistrato antimafia che oggi lavora come sostituto procuratore a Torre Annunziata. “Mi è bastato uno sguardo per capire che persona fosse – le parole di Montella – Un uomo eccezionale, una persona umile che mi ha aiutato a sfidare il mio passato. A lui e ai carabinieri devo la mia vita, il mio futuro. Considero Filippelli come un padre”. Nel 2016 – grazie ai racconti di Giovanni e alle parole dei pentiti – l’Antimafia arresta gli assassini di Ciro Montella. In manette finiscono i boss del clan Birra e i killer dei Lo Russo, la cosca di Miano alleata dei “resinari” nella faida di camorra. Il 17 gennaio del 2017 Giovanni entra in un’aula di tribunale e incalzato dalle domande di avvocati e pm racconta la sua storia da testimone di giustizia. E’ una scelta coraggiosa, perché Giovanni è imparentato anche con un altro Ciro Montella, il boss del clan Ascione che oggi si trova al carcere duro. Anche grazie ai racconti di Giovanni i killer incassano una serie infinita di ergastoli. “Il giorno della condanna la mia vita è cambiata – racconta il ragazzo di Torre del Greco – Ero felice perché finalmente ho avuto la giustizia che cercavo. Se oggi questa terra è libera e se esiste una speranza per i figli dei camorristi lo dobbiamo allo Stato, a chi combatte ogni giorno per liberarci da questo cancro”. Prima dei saluti Giovanni alza di nuovo gli occhi al cielo. “Avrei voluto festeggiare il mio onomastico con mio padre. Mi mancano i suoi consigli, le nostre litigate. Maldetta camorra”. Poi una stratta di mano, la corsa in auto e un’altra sigaretta. Stavolta il fumo serve a ricordare ciò nessuno potrà mai cancellare.