«Adesso sto bene, ma lo spavento è stato grande». Negli occhi di Mirko, 20 anni, tifoso della Juventus, residente nel cuore di Napoli, al Vomero, la paura è ancora leggibile. Lo sguardo perso, il volto stanco e le ferite sulla mano sono soltanto una piccola testimonianza di un’esperienza che lo segnerà per sempre. Sono passate 24 ore dalla notte stregata di Cardiff e dalla sconfitta bianconera contro il Real Madrid in Champions League, ma Mirko ricorda tutto perfettamente, come se fossero trascorsi soltanto minuti. C’era anche lui a Torino in quella dannata piazza San Carlo, dove in molti sono tornati indietro con la memoria, a quella notte maledetta dell’Heysel, a quel 29 maggio di 32 anni fa, quando la competizione si chiamava ancora Coppa dei Campioni. «Il Real Madrid aveva segnato da poco il gol del 3-1 quando ad un certo punto sento un’onda fortissima provenire dalla mia sinistra – spiega Mirko, arrivato apposta da Napoli per assistere alla finale dal maxi schermo – mi giro e vedo tutti che corrono impazziti. Ho pensato subito a un attentato, a un furgone travolgere la folla. In un attimo mi sono ritrovato senza zaino, calpestato da più persone che avevano perso il senno della ragione e pensavano alla cosa più importante al momento: sopravvivere». Mirko, a Torino con la mamma, guardava la partita in prima fila insieme agli altri tifosi. La donna, rimasta illesa, era distante qualche metro, spostatasi verso le zone laterali della piazza. «Sotto di me c’era tanta gente, sono riuscito a divincolarmi soltanto spingendo, anche se a malincuore. Ho preso poi lo zaino in un momento di calma e infine sono riuscito a confluire in una delle vie adiacenti alla piazza, dove ho visto scene orribili. Sangue ovunque, gente con arti rotti, i paramedici nelle ambulanze che prestavano primo soccorso e i carabinieri che cercavano di portare calma dicendo che non era successo niente». Un’esperienza terribile per Mirko, tornato in Campania soltanto nella serata di ieri. «E’ stato orribile, ho provato ad aiutare alcuni ragazzi ma la corsa delle altre persone mi ostacolava. Ho visto donne, bambini, anziani, ragazzi a terra: alcuni piangevano, altri, purtroppo, addirittura senza conoscenza». Mirko ha perso di vista anche gli amici che gli erano vicini: «Non ho visto più nessuno e sono riuscito a contattarli solo in seguito. Ho poi visto le mie mani piene di sangue a causa di schegge di vetro che si erano infilate nella caduta causata dalla calca di persone; avevo la maglia insanguinata e non sapevo manco se quel sangue fosse mio. In questo clima di follia volevo provare a farmi estrarre le schegge dai paramedici ma ovviamente c’erano feriti più gravi e ho pensato di farmi da parte e cercare mia madre che non avevo ancora sentito». Poi l’abbraccio di sollievo: «Fortunatamente scopro che si è rifugiata in un Mc Donald’s in piazza Castello, vicino a piazza San Carlo, dove eravamo tutti radunati, e riesco a raggiungerla nonostante il telefono prendesse poco per le troppe chiamate. Mi dispiace per alcuni miei amici che hanno riportato vari tagli, per fortuna non gravi». Mirko ancora non sa cosa abbia potuto scatenare quel putiferio: «C’è chi dice che sia caduta una transenna, chi dice che sia stato un petardo e che qualcuno abbia urlato “bomba, bomba”. Dispiace – conclude Mirko – che era stato annunciato un grande controllo da parte delle forze dell’ordine, invece si poteva benissimo entrare con armi o peggio. Dentro la piazza vi erano venditori di birre in vetro e questo ha contribuito a provocare le tantissime ferite».
CRONACA
5 giugno 2017
Dal sogno triplete all’incubo Isis, il racconto di un napoletano a Torino: “Abbiamo temuto di morire”