Torre del Greco. Detenute sì, ma con un proprio «codice d’onore». Rigoroso e inviolabile. «Siamo mamme e nonne, i bambini non si toccano», la “legge non scritta” delle donne rinchiuse nel carcere femminile di Pozzuoli. Dove agli inizi di maggio del 2016 arrivò Marianna Fabozzi, la strega del Parco Verde di Caivano accusata di avere coperto gli abusi sessuali su Fortuna Loffredo – la bimba di sei anni, conosciuta come Chicca, volata giù dal balcone di un palazzo a giugno del 2014 – e sul figlio Antonio Giglio. Immediata scattò la rivolta delle carcerate, guidate da Marianna Sannino – trentaduenne di Torre del Greco, finita in manette in un blitz anti-camorra all’ombra del Vesuvio – e Giovanna De Liso. La madre senza cuore fu linciata durante un trasferimento sotto scorta dalla cella d’isolamento ai bagni e solo il provvidenziale intervento delle guardie penitenziarie evitò si compisse la vendetta sommaria delle detenute-giustiziere.
L’aggressione shock
Marianna Fabozzi, tornata a inizio settimana a casa dopo avere ottenuto il beneficio degli arresti domiciliari, era subito finita nel mirino delle recluse di Pozzuoli. Mentre il compagno Raimondo Caputo – noto come Titò – veniva pestato a sangue a Poggioreale, a lei toccava la stessa sorte nel carcere femminile: appresa attraverso il telegiornale la notizia dei presunti abusi sessuali coperti dalla donna, alcune carcerate avevano organizzato un piano per punire chi aveva violato il loro personale «codice d’onore». L’agguato era scattato il 5 maggio del 2016, proprio il giorno in cui si celebra la giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia: la “vittima” era stata aggredita durante il trasferimento ai bagni della casa circondariale. In sette o otto si scagliarono sulla strega del Parco Verde, colpita a calci e pugni prima di essere “salvata” dalle guardie penitenziarie. Nel tentativo di difendere Marianna Fabozzi dal linciaggio due agenti rimasero contuse e furono refertate in ospedale.
La rivendicazione
L’episodio non restò isolato. Successivamente, un gruppo di carcerate scrisse una lettera aperta in cui si spiegavano le ragioni dell’azione violenta contro Marianna Fabozzi: «I bambini non si toccano. è inaccettabile pensare possano accadere episodi del genere: doveva avere una lezione», il messaggio – in estrema sintesi – lanciato dalle promotrici della rivolta di Pozzuoli. Un pericoloso campanello d’allarme, capace di convincere i vertici del sindacato autonomo di polizia penitenziaria a rafforzate le misure di vigilanza e di sicurezza nei confronti della detenuta. «I reati a sfondo sessuale hanno la riprovazione di tutti i detenuti – confermò Donato Capece, segretario del Sappe – e il compito della polizia penitenziaria è impedire gesti inconsulti e violenti». Una missione compiuta a metà, considerando come successivamente la stessa Marianna Fabozzi provò a impiccarsi in cella utilizzando un lenzuolo del suo letto come cappio.
Le indagini
Intanto, l’inchiesta sull’aggressione shock in cella è andata avanti. Proprio in concomitanza con la scarcerazione della strega del Parco Verde è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per Marianna Sannino – la capo-popolo di Pozzuoli – e Giovanna Di Liso. Entrambe devono rispondere dell’accusa di lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale. Le due donne – difese rispettivamente dall’avvocato Gennaro Ausiello e dal pool di legali composto dall’avvocato Giacomo Pace e dall’avvocato Giuseppe Forni – compariranno a metà maggio, esattamente a un anno di distanza dai fatti, davanti al gup Maria Gabriella Pepe chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio. Stralciate dal procedimento principale, invece, le posizioni delle restanti detenute protagoniste del linciaggio nel carcere di Pozzuoli.
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