Ercolano. «I colpevoli del disastro dei rifiuti sul Vesuvio non sono a Ercolano. Vanno cercati altrove. Noi abbiamo fatto tanti errori, ci siamo ammazzati e abbiamo spacciato. Ma non abbiamo ucciso i bambini di San Vito con i rifiuti tossici». Le parole che scuotono la terra dei fuochi vesuviana arrivano da una cella del carcere di Lanciano. A firmarle è Francesco Durantini, storico boss dello spaccio di Ercolano e colonna portante del clan Birra-Iacomino.
Nei giorni scorsi ‘o presidente – questo il soprannome di Durantini – ha inviato una lettera alla nostra redazione per raccontare la sua verità e i suoi dubbi sul disastro delle cave dei veleni. Le pattumiere di rifiuti tossici scoperte in questi mesi sul Vesuvio grazie alle parole del pentito Ciro Gaudino, ex killer del clan Ascione-Papale, i nemici dei Birra negli anni della guerra di camorra.
Durantini – che nel suo curriculum vanta anche una condanna a 30 anni per omicidio – affida i suoi pensieri a 4 fogli a righe scritti in stampatello e nascosti da una busta gialla sigillata. Parole da prendere con le molle, ovviamente. Parole che però raccontano la reazione stizzita e amara di un camorrista. Un capoclan che si sente accusato di aver ucciso con i rifiuti tossici centinaia di bambini, i piccoli martiri di San Vito: rione della zona alta aggrappato ai piedi delle discariche dove morire di tumore è diventato normale.
«A Ercolano si sono pentiti gente del calibro di Costantino Iacomino e Giovanni Durantini (fratello di Francesco ndr). Gente che ha comandato per anni e non sanno nulla di queste discariche. Come può un ragazzo come Ciro Gaudino sapere cose che non sanno i boss che si sono pentiti? – si domanda nella lettera Durantini – Ma questo è solo il mio pensiero».
Il boss dello spaccio di via Pugliano – fratello del padrino-pentito Giovanni Durantini – non crede (o forse non vuole credere) che la camorra di Ercolano sia stata capace di spingersi fino a tanto. Di arrivare ad avvelenare il ventre del Vesuvio, mettendo a rischio la vita di migliaia di persone. I colpevoli di questo scempio, per il boss che scrive nel silenzio della sua cella, vanno cercati altrove. Fuori da Ercolano. Magari tra i fili della catena d’interessi legati allo smaltimento illecito di rifiuti.
«Io ho sbagliato – il mea culpa del capoclan – ma non penserei mai e poi mai di mettere la vita dei bambini in pericolo. Se fosse vero i colpevoli sono altrove e non ad Ercolano. Ci potete dire che abbiamo venduto la droga che ci siamo ammazzati tra di noi. Ma la spazzatura non è colpa nostra e non ci sto a portarmi dietro questo marchio da vigliacco».
Essere associato ad una cava di rifiuti – per un camorrista del calibro di Durantini – fa più male di una condanna all’ergastolo. Ma la lettera del boss apre anche la porta a domande e interrogativi. Chi fuori da Ercolano avrebbe avuto interessi a inquinare le cave del Vesuvio? I Casalesi alleati del clan Birra? (come raccontato dal pentito Gaetano Vassallo) Qualche imprenditore senza scrupoli? O semplicemente ‘o presidente è solo uno dei boss che non hanno messo le mani sulla monnezza?
Dubbi scolpiti in quelle poche pagine scritte di getto. La terra dei fuochi è però anche una penna che brucia di rabbia e di rimpianti per Durantini. E dopo una vita spesa al servizio della camorra – tra droga e omicidi – il boss che ha inondato di cocaina i vicoli di Pugliano chiede scusa alla sua città. Chiede scusa per i tossici morti nei vicoli e per i 60 omicidi della guerra di camorra. Chiede scusa per il racket e per le “stese”. Chiede scusa Durantini, anche se sa che forse è troppo tardi. «Io spero che tutta la verità venga fuori sulla vicenda dei rifiuti – le parole di Durantini – così tante persone potranno avere giustizia. Colgo l’occasione di chiedere scusa a tutti gli abitanti di Ercolano per l’immagine di questa grande città conosciuta in tutto il mondo».