La fermata Madonnelle della Circumvesuviana è un cantiere aperto. Lo stesso corridoio è destinato al passaggio di chi entra ed esce dalla stazione. Tutt’intorno è solo deserto, fino a quando non ci si immette su viale Madonnelle, percorrendo il quale per pochi metri ci sono la scuola che porta lo stesso nome e una pizzeria che esiste dagli anni ottanta. Siamo nel Rione Incis, a Ponticelli. Lo stesso che nel lontano 1983 fece gridare allo scandalo per la tragica fine di due bambine di 8 e 10 anni. Si chiamavano Barbara Sellini e Nunzia Munizzi. Dopo essere sparite in un sabato sera dei primi di luglio, le piccole furono ritrovate il giorno dopo, di domenica, in un canalone. Erano state violentate, uccise e poi bruciate. Quel massacro fa ancora rabbrividire chi abita da queste parti. E non solo. Ma l’infanzia negata nel quartiere è anche quella di un bambino di 12 anni che, per un quinquennio, ha dovuto subire le molestie sessuali di un sacerdote, suo professore di religione sui banchi della scuola media. Il viaggio nel rione comincia da qui. Da questo scabroso episodio che, secondo la testimonianza della vittima (che oggi ha 41 anni), si sarebbe consumato nel lontano 1987 e perpetrato ai danni del minore fino al 1992. Eppure tra le strade del Rione Incis nessuno parla. Tutti o quasi hanno le bocche cucite. Come se fosse la cosa più assurda del mondo anche solo ipotizzare che un uomo di chiesa possa aver commesso un simile abominio. «Non sappiamo nulla. Ma lei chi è?», risponde con una domanda un’anziana mentre fa la spesa dal fruttivendolo ad angolo con via Fratelli Grimm. Una strada, quest’ultima, che è un lungo viale che taglia via Madonnelle all’altezza di una rotonda. Nemmeno in uno dei più noti bar della zona sanno nulla di questa «brutta storia», come la definisce a voce bassa qualcuno. Finanche della scuola media frequentata dalla vittima all’epoca, la Borsi 2, molti sembrano non sapere nemmeno che sia mai esistita. «Sì, forse è quella che oggi si chiama Bordiga», si affretta a precisare una giovane barista dietro al bancone. Ma nulla di più. Di quel che avveniva in quell’appartamento all’interno dell’isolato E, che oggi corrisponde al civico 22 di via Fratelli Grimm, nessuno sa né ha mai visto nulla. «Lo sanno, eccome – commenta un pensionato che si attarda davanti a un’edicola di giornali – solo che c’è omertà perché la gente ha paura di esporsi. Ma lo sapevano tutti che quel prete con gli occhiali dalla montatura dorata aveva quel “difetto”». Davanti alla palazzina dove abitava il presunto pedofilo c’è il citofono, dove ancora si legge il cognome di quel sacerdote che parlava di Cristo ai bambini. Quegli stessi bambini che, spesso, invitava a fargli visita dopo la scuola con il pretesto – dicono – di «fare i compiti». E oggi, paradossalmente, quelle finestre sono chiuse, quasi a voler nascondere la vergogna di quanto avveniva in quelle mura domestiche a chi si fidava del suo professore di religione.
CRONACA
23 febbraio 2017
Rione Incis, viaggio nell’Inferno di Diego: qui il prete-prof era Satana