«Io facevo il killer non giocavo. Uccidevo i criminali ma non gli innocenti. Per questo mi sono pentito, perché volevamo farmi uccidere un innocente. La camorra mi ha fatto schifo per questo». Il pentito Ciro Gaudino è stato un pezzo da 90 del clan Ascione-Papale. E anche per questo le sue parole fanno più rumore quando dalla località protetta la sua voce arriva nell’aula della Corte d’Assise di Napoli. Il cugino del boss Ciro Montella, alias ‘o lione, sta parlando – incalzato dalle domande del pm Sergio Ferrigno – nel corso del processo simbolo della faida. Il delitto costato la vita a Salvatore Barbaro, vittima innocente della camorra ucciso per errore in via Mare, a Ercolano, il 13 novembre del 2009. Barbaro pagò con la vita l’errore di uno specchiettista della camorra che scambiò la sua auto con quella di un boss dei Birra-Iacomino, i rivali degli Ascione-Papale. Gaudino parla ed è un fiume in piena. Racconta tutto. Del suo ruolo di killer-carpentiere. L’operaio con licenza di uccidere nel weekend: «scendevo da Firenze il sabato per venire a fare gli omicidi e tornavo il lunedì». Poi di quel terribile giorno, di quel folle errore costato la vita a un ragazzo di appena 29 anni. «Dovevo esserci anche io – ripete il collaboratore di giustizia – ero quasi arrivato a Ercolano, dovevamo fare gli appostamenti per uccidere Ciro Savino e Marco Cefariello. Ma rimasi nel traffico a San Giovanni a Teduccio. Quando arrivai a Ercolano c’era un casino». Il killer scende via Canalone – fortino del boss Natale Dantese – e con la valigia in mano corre a via Mare. «Capì subito che avevano fatto un errore. Andai da mio cugino Ciro Montella che mi rimproverò perché ero arrivato troppo tardi. Io gli dissi: Ciro guarda hanno ucciso un bravo ragazzo”».
Un sospetto confermato – secondo il pentito dagli stessi diretti interessati. Come Antonio Sannino, imputato in questo processo assieme a Pasquale Spronello e al boss Natale Dantese (Vincenzo Spagnuolo, il killer, è stato condannato a 30 anni con rito abbreviato). «Facemmo altri appostamenti e mi dissero che la colpa era stata di chi aveva dato la battuta. Lo specchiettista ha rovinato tutto». Nel suo racconto fiume, Gaudino racconta però anche retroscena della guerra di camorra e delle alleanze interne al clan Ascione-Papale. A comandare – nel 2009 – erano 3 boss. «Natale Dantese, Pietro Papale e Ciro Montella». E anche gli omicidi venivano realizzati in modo da raccontare l’unione tra le 3 famiglie criminali. «Montella si arrabbiò perché non c’ero, perché mancava un rappresentante del nostro casato». «Dantese, Montella e Papale sono i mandanti di tutti gli omicidi commessi in quel periodo», ripete il pentito durante l’udienza. Gaudino ha poi raccontato del suo ruolo di killer sotto copertura e dei suoi rapporti con il clan Durantini, famiglia vicina al clan Birra-Iacomino. «Da giovane ero vicino ai Durantini – ripete Gaudino – sfruttavo questo fatto perché nessuno doveva sapere che facevo gli omicidi per gli Ascione». Dell’omicidio Barbaro, Gaudino avrebbe parlato anche con il boss Natale Dantese. «Io la vittima innocente non la volevo ammazzare – ripete il collaboratore di giustizia parlando delle sue scelte – Io avevo nella testa di uccidere per vendicare mio zio Vincenzo e mio cugino Gennaro (due netturbini legati al clan uccisi a Torre del Greco nel 2007). Volevano che uccidessi i parenti di Antonella Madonna, la pentita. Gente che non c’entrava niente con la camorra. Per questo appena mi hanno arrestato ho deciso subito di collaborare con lo Stato».