La passione per le parole cominciata prestissimo, l’impatto con i nuovi vocaboli, l’avvicinamento ai misteri e all’incanto della lingua italiana cominciarono a pochi anni, intorno ai primi del ’30, quando in casa a Napoli tra i genitori che imponevano di parlare italiano si mescolava il dialetto napoletano. Fu tra quelle confusioni linguistiche spesso fantasiose, modi di dire familiari, che Tullio De Mauro mosse i primi passi tra la Lingua, come un percorso di iniziazione finito si può dire solo oggi con la sua scomparsa a 84 anni. Lui stesso li raccontò in Parole di giorni lontani, pubblicato dal Mulino nel 2006, un libriccino-sfida all’amico coetaneo Alberto Asor Rosa: “Ho cominciato anch’io sull’esempio di Alberto a raccogliere appunti, appunti, nel mio caso, delle memorie dei miei primi anni di inciampi, scacchi e, talvolta, vittorie sulla lunga strada dell’apprendimento e della comprensione delle parole. Così per i suoi settant’anni ho potuto dare al mio amico quanto io posso dar: parole, appunto”. In quell’autobiografia linguistica ricorda le sue prime esperienze con vicende legate alla sua famiglia, alla sua infanzia e, nel contempo, alla Storia italiana degli anni ’30 e ’40: le canzoni fasciste, i versi di Pascoli recitati dai fratelli e sorelle più grandi e se in un primo momento fingeva di scrivere e di leggere imitandoli, cominciò dopo ad entrare in confidenza con la parola scritta attraverso i dorsi dei libri posti alla sua altezza di bambino. Un apprendistato alfabetico, ricordano con affetto al Mulino, citando anche il successivo Parole di giorni un po’ meno lontani (uscito nel 2012). In quei due libri, tra ricordi e riflessioni, trasparivano alcuni temi portanti del linguista adulto: dalla centralità della scuola nella promozione dell’eguaglianza culturale al rapporto tra condizione economica, istruzione e cultura linguistica. E le parole sempre in primo piano: parole di un lessico personale, familiare e regionale, che si imprimono nella memoria, e che da questa nel tempo riaffiorano. “L’esame orale della maturità fu minuzioso e lungo. Alla fine mi chiesero che cosa avevo in mente di fare poi. Dissi che volevo insegnare nelle scuole, fare il professore. Mi pareva il mestiere più bello del mondo”, scriveva De Mauro in Parole di giorni un po’ meno lontani. Il racconto di De Mauro è a Roma, dove nell’inverno del 1942 a dieci anni si trasferisce con la famiglia da Napoli perché il padre andava a lavorare in una farmacia della capitale. Per Roma sono i giorni più drammatici della guerra, ma per lui è l’inizio di una nuova vita e la scoperta di una città meravigliosa. Una singola parola, un dialogo, un discorso sono lo spunto per rievocare nel racconto che si spinge fino al ’52, una stagione intera della propria vita e della nostra storia. La memoria si dilata dalle parole ai libri, a persone, come nel ricordo tenero e ammirato del fratello Mauro (il giornalista d’inchiesta vittima di mafia a Palermo nel 1970), sempre seguendo la metrica dei ricordi, linguistici e personali.
CRONACA
5 gennaio 2017
Addio a Tullio De Mauro, quella passione infinita per la parola