«Mi sento presa in giro. Sono passati 11 anni e lo Stato ancora non ha riconosciuto a mio marito lo status di vittima innocente della criminalità». Maria Ferrone, 39 anni, è la vedova di Giuseppe Riccio, il pizzaiolo di 26 anni ucciso nel locale dove lavorava a Calata Capodichino il 17 dicembre 2005. Quel sabato di undici anni fa un gruppo armato di spranghe di ferro e mazze da baseball fece irruzione nella pizzeria Donna Amalia. L’obiettivo della spedizione punitiva era il proprietario, che poco prima si era rifiutato di servire fuori quel gruppo di persone. La banda di malviventi, affiliati a clan della zona, esplose diversi colpi di pistola che uccisero uno dei dipendenti della pizzeria, Giuseppe Riccio, 26 anni appena, una moglie di 28 e un bambino che oggi ha 12 anni. Nei processi di primo e secondo grado tre pregiudicati, Pietro Girletti, Giovanni di Vaio e Ciro de Vincenzo, individuati come autori dell’omicidio, sono stati condannati all’ergastolo. Condanna che la Corte di Cassazione ha ridotto a 28 anni, con la motivazione della mancanza della premeditazione. Ma ciò che più ferisce Maria, che oggi vive in Svizzera col figlio, è l’assenza di uno Stato che non tutela i familiari delle vittime. «Due giorni fa è stata presentata una App con i volti dei morti innocenti dalla Fondazione Polis – rimarca – e tra questi c’è mio marito. Un paradosso, perché dopo 11 anni il ministero non lo ha ancora riconosciuto come vittima».
CRONACA
15 dicembre 2016
La vedova di Giuseppe Riccio: «Mio marito tre le vittime nella App, ma il ministero non lo ha mai riconosciuto»