Il 6 dicembre 1959, viene inaugurato lo stadio San Paolo. Il Napoli ospita la Juve, c’è il tutto esaurito, 68 milioni d incasso (record per quel campionato). Segna Vitali per i partenopei. Al minuto 63, con una memorabile semi-sforbiciata, segna Luís Vinícius de Menezes, più semplicemente, Luís Vinício. L’incontro finirà con la vittoria del Napoli sulla Juventus per 2-1. E’ uno degli ultimi ruggiti de “O’ Lione” come lo avevano soprannominato i tifosi partenopei per sottolinearne il coraggio, dote non consueta nei calciatori carioca. Luís è un brasiliano di Belo Horizonte, classe 1932, buona famiglia e ottimi esordi col Botafogo con Garrincha e Dino Sani. Arriva in Italia nel 55 senza particolare clamore, non è un nazionale “verdeoro” e nel campionato precedente ha giocato poco per i postumi di un grave infortunio. Ha solo 23 anni e una grande presenza in area di rigore. E’ un Napoli vecchio, Luis si fa carico della finalizzazione. In 5 anni e 152 partite segna 69 volte. Un giocatore così non può non lasciare il segno nei cuori azzurri. Lo striscione “Vendetevi l’anima, ma non Vinicio” non evitò la sua cessione al Bologna. E’ vittima di una vera epurazione perché all’interno dello spogliatoio è in atto una clamorosa scissione. Viene quasi svenduto e, professionalmente, non è una soluzione felice, perché, a Bologna, perde il dualismo con il giovane danese Harald Nielsen che con i felsinei vincerà per due volta la classifica dei cannonieri. La sua stagione italiana sembra finita e il ritorno in patria una conseguenza logica. Il Lanerossi Vicenza (allora unica squadra ad avere il nome di un marchio commerciale) gli offre un nuovo contratto mentre lui è pronto all’imbarco per tornare in patria. Vinico ricomincia a segnare con una certa regolarità e i vicentini vivono le loro stagioni migliori. Nel 66, Vinicio con 25 gol segnati vince la classifica dei cannonieri e porta i biancorossi al 6° posto finale. Vincere la classifica dei marcatori militando in una provinciale non è mai facile e vincerla con tante reti lo è ancora meno. Lo chiama Herrera all’Inter ma ancora una volta non si rivela una scelta indovinata. Le regole sugli stranieri limitavano a due le presenze dei non italiani in campo. In rosa c’erano Suarez, Jair e Peirò. Per Vinicio ci furono molte “non convocazioni” tanto che la domenica preferiva le gite in montagna. Imparò anche a sciare (altra stranezza per un brasiliano) prima di tornare, dopo solo un anno, al Vicenza dove contribuì ad un’altra insperata salvezza.
Oltre 150 reti in serie A, un grande bottino per uno che era arrivato in Italia da comprimario.
La sua carriera da allenatore, cominciata in modo lusinghiero a Brindisi, lo riporta a Napoli dove sviluppa un gioco propositivo, mille anni prima di Sacchi, definito all’olandese perché Vinicio predica la zona e il fuorigioco. Mette il vecchio Burgnich a comandare la difesa. Nel 74 -75 il Napoli arriva secondo (a due punti dalla Juve) i partenopei giocano un calcio nuovo ed efficace per i tifosi si rinnova l’amore per Luis . Il sogno tricolore viene infranto nello scontro diretto con la Juve deciso dal gol di “core ngrato” Altafini.
Anni dopo Sacchi, con gli stessi principi di gioco, vince tutto ma aveva in squadra i migliori giocatori europei del momento. Vinicio sfiorò lo scudetto con CARMIGNANI, BRUSCOLOTTI, POGLIANA, ORLANDINI, LA PALMA, BURGNICH, MASSA, Salvatore ESPOSITO, CLERICI, JULIANO, BRAGLIA. C’è la sua differenza !!!
Il meccanismo si rompe e il passaggio alla Lazio del dopo Maestrelli si rivela un’altra scelta professionale sbagliata. La sua carriera da allenatore finisce nel 1991/92 in serie C2 quando, alla guida della Juve Stabia, il Leone riesce a salvare la squadra campana dalla retrocessione
Il poliedrico presidente Lauro cercò di trovargli degli antenati italiani. Un parroco di Aversa sostenne la tesi che una famiglia con il cognome della madre di Vinicio (Amarante) era emigrata da Aversa in Brasile. La tesi si rivelò una bufala (parliamo di Aversa).