I ragazzi di Tychy vengono su tutti allo stesso modo. Alti, forti, con due spalle larghe così e gli occhi profondi dentro i quali ci leggi i sogni. Arkadiusz è della classe ’94, tra quelli che hanno una marcia in più perché nati sotto il segno di Lech Walesa. L’operaio che diventò leader di SolidarnoÅÄ, poi premio nobel per la Pace, poi presidente della Repubblica. Per loro i sogni possono diventare realtà. Basta solo volerlo. E Arkadiusz Milik lo vuole.
Il suo sogno è la maglia bianca e rossa della «Polska», la sua sfida è condurla a un grande trionfo. Roba da ragazzi ambiziosi e caparbi ma del resto se non lo sei a Tychy finisci per avvitare dignitosamente bottiglie di Tyskie o cruscotti della Cinquecento nella fabbrica di casa-Agnelli, i padroni della Juventus.
Ha le idee chiare, Milik. O meglio, Arek. Perché è così che lo chiamano i suoi tifosi a Tychy. Loro sono convinti che che può farcela, sono certi che il Napoli abbia comprato il Boniek del futuro e c’è già chi sta organizzato la prima trasferta di gruppo sotto il Vesuvio. Pompei-Capri e San Paolo. «Non avrebbe mai rinunciato alla 9», dicono, ma quest’estate le 9 sono finite tra i rifiuti, e allora meglio lasciar stare. Anzi, meglio raddoppiare. In tutti i sensi. Il «99» sulle spalle e i due gol all’esordio, che hanno mandato in delirio il San Paolo mezzo vuoto per la protesta contro il caro-biglietti.
Arek Milik è fatto così. Non s’accontenta. Lui fissa un obiettivo all’orizzonte e poi tira diritto. Quando aveva 16 anni fu contattato dai dal Tottenham, disse «no, grazie. Resto al Katowice» con la maglia verde e nera, che resta la sua seconda pelle, perché se cresci a Tychy, più di centomila abitanti nel voivodato della Slesia a venti chilometri da Katowice, vivi di luce riflessa. Da piccolo ti parlano della Shoah e di uno dei 45 sottocampi di Auschwitz messo su proprio a Katowice. Da ragazzo ti dicono che se vuoi fare strada è lì che devi vivere, altrimenti resti a Tychy, la “città-dormitorio” nella zona industriale della Slesia superiore, nelle vicinanze del fiume Vistola, dove i quartieri sono nominati in ordine alfabetico e dove dai campetti polverosi si scorgono le enormi insegne dei gruppi industriali. La Tyskie, appunto, una delle birre più bevute in Polonia. E l’ex Fiat, dove il Lingotto ha delocalizzato l’assemblaggio della Fiat Panda, della Lancia Ypsilon e della Nuova 500 per sfruttare i costi bassissimi della manodopera.
Arek in fondo assomiglia ai tanti ragazzi che alla fine del turno di lavoro vengono fuori delle catene di montaggio sacco in spalla. Lui però ha scelto un’altra strada e a 22 anni (compiuti il 28 febbraio) in testa ha «i trionfi della Polska» come un chiodo fisso. «Lui ce la farà», dicono, come ce la fece Roman Ogaza, altro attaccante-eroe nato a Tychy e medaglia d’argento alle Olimpiadi di Montreal nel ‘76. Ce la farà perché nella Polonia del Sud il senso di appartenenza alla nazionale è qualcosa che si tocca con mano e perché se segni il gol-vittoria agli Europei (contro l’Irlanda del Nord) può darsi anche che sei un predestinato.
Aveva 18 anni quando la rivista spagnola Don Balón lo inserì nella lista dei migliori calciatori nati dopo il 1991, ne aveva 20 quando fu scelto come testimonial polacco di Fifa accanto a Messi. I critici lo paragonano a Lewandowski, qualcuno azzarda che andrà anche più lontano, lui tiene i suoi centottantasei centimetri incollati all’erba e continua a sgobbare. A Castelvolturno come a Katowice. E come ad Amsterdam. In fondo non si segnano due gol all’esordio nell’arena del San Paolo se si è palloni gonfiati e basta. Se non si hanno sogni. Se non si hanno ambizioni. «La Polska», appunto. Ma anche la Champions. Eccola un’altra cosa che gli frulla in testa fin da quando aveva 16 anni. Il Rozwój. Il Górnik Zabrze. Il Bayer Leverkusen. L’Ajax dopo la parentesiAugusta. E quindi il Napoli. Da ieri i bookmakers hanno rivisto anche le sue quotazioni: da 33 a 15, ed ora ha le stesse probabilità di diventare capocannoniere che hanno Berardi e Dybala. Sarei è convinto di aver trovato il boomber giusto per il post-Higuain. Una scommessa da 32 milioni di euro (più uno di bonus). Salata, certo. Ma già benedetta nella notte della caccia ai diavoli