Che tempo fa oggi a Torino? Si dice piova sempre, il 4 maggio, ché da quel giorno del 1949, all’ombra di Superga, puntualmente, “anche il cielo si ricorda di piangere”. E’ una suggestione, certo, però dà l’idea del mito che s’accarezza, ogni volta che se ne parla. Il Grande Toro, con la doppia iniziale maiuscola, non era semplicemente una squadra. Era ed è rimasto un pezzo di storia d’Italia, una leggenda sportiva annodata tra le radici sociali d’un Paese in cui nulla era più come prima, quando gli Invincibili s’arresero al destino, l’unico avversario in grado di batterli.
Accadde oggi, 67 anni fa: di ritorno da Lisbona, nel terribile incidente aereo di Superga, persero la vita 31 persone. Sarebbero diventate icone immortali, pure per un popolo dalla memoria spesso troppo breve, però che a quei nomi guarda ancora con ossequioso rispetto. Erano Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti e Giulio Schubert. Con loro anche gli allenatori Egri Erbstein e Leslie Levesley, il massaggiatore Ottavio Cortina, i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti e Ippolito Civalleri; i membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi; infine, i migliori giornalisti sportivi italiani del tempo (campioni raccontano campioni), Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa).
“Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede”, scrisse Indro Montanelli in uno dei ricordi più belli del mito granata. Frase (stra)citata sino all’abuso, eppure che non ci si stanca mai di (ri)leggere, per come trasforma la prosa in poesia. Per ricordarci che “così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”.