Torre del Greco. E’ salito al quarto piano della procura di Torre Annunziata intorno alle 16, quando il sole era alto e la temperatura sfiorava i 30° all’ombra. è uscito dalla stanza del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli dopo sei ore, quando fuori era buio pesto e fresche folate di vento arrivavano dal golfo di Napoli. A rinfrescare l’aria, ma a gelare ulteriormente i pensieri di Simone Onofrio Magliacano: il commercialista di 33 anni è il primo politico iscritto nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa delle operazioni di voto in occasione del primo turno delle elezioni 2018 a Torre del Greco. Il nome dell’ex assessore al bilancio – una meteora della giunta del sindaco di Ciro Borriello, all’epoca del primo mandato – è spuntato fuori dagli interrogatori degli otto «galoppini» già finiti sotto i riflettori dell’ex pm della direzione distrettuale antimafia.
Sei ore sotto torchio
Registrate le accuse messe a verbale dai «factotum» di corso Garibaldi – la storica roccaforte della camorra di Torre del Greco – il titolare delle indagini sull’ennesimo scandalo all’ombra del Vesuvio ha convocato Simone Onofrio Magliacano per le verifiche del caso. Alle accuse avanzate dai «galoppini» incastrati dai video registrati all’esterno dell’istituto superiore Cristoforo Colombo, il commercialista ha replicato con decisione. Negando, in buona sostanza, le ipotesi di reato avanzate dal procuratore aggiunto. Ma, durante l’interrogatorio-fiume, qualche ammissione è arrivata. Perché le deposizioni circostanziate e convergenti dei restanti indagati – sei, in particolare, pronti a ricostruire le dinamiche della campagna elettorale – non lasciavano spazio a particolari dubbi. «è vero – uno dei passaggi-chiave della deposizione dell’ex assessore al bilancio -. I ragazzi hanno ricevuto cento euro a testa, perché si sono messi a disposizione nel fare campagna elettorale». Ma non solo. Secondo la ricostruzione di Simone Onofrio Magliacano, i cento euro erano un compenso per l’affissione dei manifesti relativi alle gare di calcio della squadra amatoriale di cui il commercialista è presidente. Insomma, un «regalo» a titolo forfettario per i servizi assicurati dai «galoppini».
Il progetto garanzia giovani
Durante l’interminabile faccia a faccia è stato toccato, inevitabilmente, il capitolo relativo al lavoro a tempo determinato garantito ai 50 netturbini assunti – attraverso un’agenzia interinale – lo scorso 30 maggio, a dieci giorni dal voto. Una data improrogabile – la scadenza era fissata proprio per il 30 maggio – ma capace di scatenare veleni e ombre sulla corsa alle urne. Il commercialista ha smentito, in primis, ogni tipo di rapporto con l’agenzia interinale e ha negato qualsiasi promessa di stabilizzazione per i 50 netturbini. «Era impensabile potessi assumere un impegno impossibile da portare a termine», la sintesi dei concetti espressi dal politico – non interessato in prima persona alle elezioni, perché non candidato in alcuna lista – all’ex magistrato della Dda. Durante le sei ore di confronto non sono mancati momenti di tensione, provocati dalle incalzanti domande del procuratore aggiunto chiamato a fare piena luce sulla regolarità della tornata elettorale a Torre del Greco. Alla fine, tuttavia, fatta eccezione per l’ammissione relativa ai cento euro «giustificati» come pagamento per le affissioni dei manifesti sportivi non sono stati aggiunti ulteriori tasselli alle indagini. Ma eventuali sviluppi potrebbero arrivare già entro la fine della settimana.
La perizia sui telefoni
Entro venerdì, infatti, potrebbero essere consegnate al titolare dell’inchiesta le perizie relative ai telefoni cellulari sequestrati dai carabinieri della caserma Dante Iovino durante il blitz all’interno delle case dei primi otto indagati. Secondo la convinzione degli investigatori, gli smartphone potrebbe contenere le prove schiaccianti del voto di scambio: file audio e immagini inviate tra i «galoppini» e vari politici impegnati nella campagna elettorale. Sotto i riflettori del magistrato capace di demolire a colpi di inchieste le cosche di Ercolano non sono finiti solo semplici guaglioni di corso Garibaldi, bensì «nomi eccellenti» della malavita organizzata della città del corallo. A partire dall’erede di un boss di Torre del Greco, trucidato durante gli anni di piombo della faida all’ombra del Vesuvio.